ELVIS E MATTEO

Una ventina di anni fa, ma forse anche più, con l'intenzione di dedicare ad Elvis Presley un francobollo, le Poste degli Stati Uniti promossero un sondaggio per conoscere quale fosse la migliore raffigurazione per celebrare l'artista di Memphis.


La scelta era tra un giovane Elvis degli anni '50, quelli del boom del fenomeno, oppure di un Elvis più cresciuto degli anni '60, tempi di un successo più maturo e consolidato, oppure un Elvis dell'ultimo periodo, dei chili in eccesso e dei costumi improbabili degli anni '70.
Fu proprio quest'ultima versione, quella di un Presley incerto e decadente, ad imporsi.
Può sembrare curioso, ma non fu un caso.
Quella, infatti, non era solo l'immagine del ricordo, l'ultima prima della sua definitiva e prematura uscita di scena.
Era soprattutto il ritratto di un Elvis al quadrato, quale fu egli nell'ultima fase della sua carriera, quando scelse, per il suo personaggio, la via del parossismo estremo.
E fu una scelta, quella, che a tutti gli effetti premiò, seppure in una logica di capitalizzazione e consolidamento di un audience già proprio.
Vedere Matteo Renzi alla Leopolda 9 mi ha fatto ripensare a tutto ciò.