In un film comico degli anni ’80, che narrava, in tre episodi incrociati, le vicende di altrettanti tifosi di Inter, Milan e Juventus, a un certo punto di uno di questi capitoli, veniva esposto sulla serranda di un bar chiuso il cartello “Chiuso per Derby”.
Lo stesso destino, posto che, invece che di chiusura, sarebbe più corretto parlare di rinvio, è toccato alla manifestazione nazionale indetta dal Partito Democratico, inizialmente convocata per il 29 settembre, quindi spostata al 30, causa la partita di calcio tra Roma e Lazio, programmata in concomitanza della prima data.
Già solo questo dettaglio, questa sicuramente giustificata ma altrettanto maldestra circostanza, basterebbe a raccontarci dello stato di un Partito che sul rigore organizzativo, più ancora che sulla coerenza del proprio disegno politico, fondava la propria forza e la propria presenza.
Ad osservare l’indifferenza della pubblica opinione verso questo evento, peraltro, o almeno come essa si registra in questi giorni, non è un azzardo pensare che l’episodio del rinvio per derby sarà una delle poche cose che questa iniziativa marcherà nella memoria del Paese.
Di questo, però, sarebbe un errore farne una colpa a questo o quel dirigente del PD. La verità è che è l’intero partito a sbiadire sempre più e progressivamente nei discorsi e nelle opinioni della gente, come qualcosa di lontano, di superato, di esaurito.
Forse è arrivato il conto che chi fondò il Partito Democratico mai saldò con la propria storia.