Il governo del cambiamento, del popolo, del contratto, dopo che i suoi mentori ne hanno millantato per settimane e mesi una poderosa azione riformatrice si ritrova, stretto com'è tra una trattativa irta di incognite con la Commissione europea, un vicepremier sempre più nel pallone, l'altro vicepremier in perdurante delirio di onnipotenza (nonostante il polso rotto e il cuore infranto), un premier privo di autorevolezza che si affanna a turare le falle che quotidianamente si aprono a causa della manifesta incompatibilità su temi dirimenti dei suoi dante causa, ministri nati sconosciuti che restano tali (quasi tutti),
ministri in perenne cerca di rogne (Bonafede), ministri incapaci (Toninelli) ministre a cui le fanno a loro insaputa (Lezzi) o che sfogliano ignobilmente la margherita decomposta dei novax decidendo di non decidere (Grillo), parlamentari in fibrillazione che non vogliono piegare la testa alla ragion Di Maio, si ritrova a dover chiedere al Senato, a fronte di un voto di maggioranza a rischio, la fiducia.
Nulla di strano, per carità, il voto di fiducia è uno strumento parlamentare il cui uso è affidato alla discrezione dell'esecutivo. Tuttavia da un Governo che si è autoproclamato diverso, migliore, rapido ed efficiente, che finora è riuscito solo a combinare pasticci, era lecito attendersi che evitasse di utilizzarlo, avendolo in passato i contraenti il contratto, definito come il peggiore dei mali, un vulnus alla democrazia parlamentare.
Nessun vulnus: è la spia di allarme per maggioranze parlametanri precarie, esigue o riottose: nel caso in questione la spia che la luna di miele tra contrattisti è giunta al termine.
Contemporaneamente si apprende che anche la personale luna di miele del Ministro dell'interno è terminata.
Ha ballato una sola estate.
Non è un bel viatico per il futuro.
(E.P.)