DI MAIO E IL LAVORO (NERO)

Si è alzato un polverone: il papà di Luigi Di Maio ha sfruttato il lavoro nero, Luigi Di Maio ha lavorato in nero in una pizzeria, la famiglia Di Maio ha compiuto una serie di abusi edilizi e come se non bastasse L'Ardima srl società della famiglia Di Maio è stata prima intestata alla signora Di Maio e poi ai due figli visto che Di Maio padre, avendo una cartella Equitalia da pagare, non poteva intestarsi la società senza onorare il debito con il fisco.
Cose all'ordine del giorno soprattutto al sud e che non scandalizzano nessuno, eccetto una classe politica ipocrita e organi di informazione interessati più a fare audience che informazione aggirando per l'ennesima volta la questione vera: nessun cambiamento può partire dal grido 'cambiamento' se, chi grida, non cambia se stesso e soprattutto nessun cambiamento può essere effettivo se non si dice la verità: al sud, a meno che non sia ricchi di famiglia, tutti almeno una volta nella vita hanno lavorato in nero, o sono stati sottopagati, e migliaia di imprenditori, chi per sfortuna, chi per furbizia, hanno fatto esattamente la stessa operazione della famiglia Di Maio.

Luigi Di Maio viene da un territorio dove l'illegalità è la norma ed è anche il capo politico di un movimento che ha fatto dell'ecologia politica (e solo di quella) la sua bandiera ed è qui che inizia il dramma. Fare politica o peggio fare un partito al grido "Politici ladri" è una posizione politica abbastanza ipocrita (soprattutto) in Italia perché presumerebbe la superiorità morale della società civile che è composta da soggetti come papà Di Maio che si affidano a liberi professionisti per risolvere questioni fiscali.
L'Italia è un paese dove vige illegalità diffusa che è poi la stessa illegalità che pervade la classe politica e la società civile in un connubio morboso. Ma è quindi finita l'illusione? Tutt'altro a quanto sembra, ma è sempre l'ipocrisia a farla da padrona.
Roberto Michels, a inizio '900, studió a fondo il sistema politico tedesco e il partito dei socialisti tedeschi ed arrivò alla conclusione che non vi poteva essere democrazia senza partiti che funzionassero al loro interno con meccanismi democratici. Se questo assunto di un secolo fa è vero, oggi la realtà ne pone un secondo: può un movimento politico fondato sulla legalità (che non significa giustizia) avere senso in un paese dove il disonesto è sempre qualcun altro e dove la parola legalità è solo una spilla da attaccare all'abito nuovo?
Francesco Meringolo